C’è questa tradizione della Tavola dei morti da imbandire per i nostri cari che non ci sono più nella notte tra il 1° e il 2 novembre. Io non la conoscevo, ma sulla stregua di “la poesia non è di chi la scrive, ma di chi gli serve” (Massimo Troisi ne Il Postino) l’ho fatta mia da qualche anno. Mi serve, mi serve proprio assai.
Perché quando è nato Duetto mia mamma, la loro nonna, era già morta da tre anni. Sono stati quei tre anni che mi hanno però portato a decidere di diventare madre. Prima non ne avevo mai sentito l’esigenza, nè il ticchettio dello scorrere del tempo. Non avevo neanche mai pensato che non avrei raggiunto qualcosa che desideravo perché, semplicemente, sarebbe stato troppo tardi.
Sono diventata madre per tramandare la cosa più meravigliosa che lei aveva saputo essere: una buona mamma (prima ancora della donna e dell’insegnante che era, anche perché quei suoi due ruoli non appartenevano al mondo che condivideva con me).
Vista così può sembrare una scelta superficiale ed egoistica, più che un vero istinto materno. Ma è la spiegazione più vera che posso darmi senza nascondermi dietro a un dito. E con orgoglio posso però dire che oggi mi sento una brava mamma: mi sto cucendo questo ruolo giorno dopo giorno a pennello e, nonostante gli errori, le disattenzioni, la perdita talvolta di pazienza e di nervi, sono orientata al risultato e mi sento portata anche per questa nuovo lavoro a tempo indeterminato con due boss al posto di uno.
Però però però, sebbene io sappia che tanto di questo è merito di mia madre, dell’esempio che ha impresso dentro noi figli, più mi fa rabbia che loro non l’abbiano conosciuta, e che lei non abbia conosciuto loro.
E così approfitto di tradizioni che non erano mie per farle mie (come La tavola dei morti appunto), di albi illustrati per affrontare con loro temi così difficili e dolorosi (L’albero dei ricordi), cartoni animati che scavano nelle tradizioni del cuore (Coco e il suo viaggio durante il dia de los muertos in Messico), unendoci un po’ di mio, come la corrispondenza epistolare fra i nipoti e la nonna e un po’ di sano “viziare”, in cui mia mamma sarebbe stata campionessa incontrastata di desideri esauditi prima ancora di averli formulati.
Come nei due anni precedenti, ieri sera abbiamo apparecchiato per nonna Milena e nonna Brigitte, e un po’ mi faceva ridere pensare che se le due si fossero conosciute non avrebbero saputo scambiare una parola a quel tavolo, ma avrebbero saputo, a modo loro, comunicare, proprio come fanno i bambini, a prescindere dalla lingua.
E anche quest’anno la parte per Duetto più coinvolgente è stata proprio quella dell’apparecchiamento, della scelta dei piatti e dei bicchieri, del cibo da mettere a tavola, delle rassicurazioni che avrebbero scelto loro quello che volevano e non dovevamo per forza distribuire nei piatti.
Per mia mamma non dovevano mancare pane e formaggio, entrambe cose di cui era ghiotta, e un bel bicchiere di vino. Per la nonna tedesca un po’ di cioccolata, perché quando era malata i nipoti aiutavano il nonno a imboccarla e le facevano fare scorpacciata di cioccolata. E loro ogni tanto se lo ricordano ancora.

Vi confesso però una grande e scontata verità: diventa sempre più difficile. Perché le energie scarseggiano e mettono a dura prova l’entusiasmo. È stato un fine settimana lungo e percepito come lunghissimo, con Duetto a casa, i preparativi per Halloween che hanno accentrato tutte le loro energie, e questa tradizione, la tavola dei morti, per la quale si appassionano solo a sera, quando si entra nel vivo, mentre scrivere la letterina non rientra tra le loro priorità.
A me invece serve, perché fa da ponte tra questo mondo e quell’altro, che non so dove sia ma lo abbiamo collocato in cielo. Mi serve sapere cosa vorrebbero raccontare loro se fossero vive, cosa per loro è importante. E poi le uso come gancio per far raccontare alle nonne qualcosa di loro.

In più quest’anno, che hanno quasi cinque anni, ho deciso anche di avviarli alla verità, con il rito di passaggio di una mezza bugia. Non sarà la nonna a portare i regali, né tantomeno a scrivere di suo pugno la letterina. La nonna delegherà tutto a me.
Non so se sia giusto, ma io lo ritengo tale. Non vorrei che si sentissero presi in giro quando scopriranno che è stata tutta una bugia, come Babbo Natale, e della bugia facciano poi di tutta l’erba un fascio: se non può venire a trovarci allora non è neanche vero che ci osserva e ci ama da lassù (perché è lassù che se la immaginano, e non mi sembra sbagliata dare una collocazione, seppur vaga, a chi l’astratto ancora fa fatica a capirlo – e forse parlo anche di me stessa).
Le letterine di risposta le avevo abbozzate nei giorni scorsi (sto diventando tedesca nell’organizzazione), i regali li avevo pensati osservando i miei bambini: cosa avrebbe notato mia mamma in loro? Dove sarebbe andata a cercare qualcosa per loro, ricordandosi di qualche vetrina rimastale impressa durante le sue passeggiate?
Qualche giorno fa, inoltre, abbiamo visto insieme il cartone animato Coco, dove un ragazzino di nome Miguel viene scaraventato nel mondo dei morti proprio durante la festa del Dia de los muertos. Miguel è stato il mio monito e il mio stimolo, perché se smettiamo di ricordare i morti, se scompaiono anche dalla nostra memoria, allora non saranno più da nessuna altra parte. E io questo non lo voglio. Ho già io stessa dimenticato il suo profumo, la sua voce, la sua risata, i suoi modi di dire. Se dimentico anche il resto, come posso sperare di ritrovarla in fiori che non crescono più nel suo balcone, in film che non guardiamo più insieme, in posti in cui lei non è mai stata?
E come posso sperare che i miei figli possano ritrovare parte del loro dna se non inizio a seminare la loro curiosità e a formare un loro legame fin da adesso?

La lettura dell’albo L’albero dei ricordi mi aveva già aiutato, un mese fa, a spiegare loro perché fossi tanto triste per la morte di una persona cara e per non essere potuta presente al funerale. Allora abbiamo fatto noi una nostra piccola cerimonia, ascoltando le canzoni che a lei piacevano e leggendo la storia di volpe, che è vecchia e stanca e va a morire nel suo posto preferito nella radura. Mentre la neve scende sulla salma, gli altri abitanti del bosco, che a volpe erano molto affezionati, si ritrovano vicino all’amica e a turno raccontano aneddoti della vita insieme. Parlano tutta la notte e al sorgere del sole si accorgono che dove l’amica giace, coperta dalla neve, sta spuntando una pianta arancione. La pianta crescerà nel corso dei mesi e sarà il centro della vita di tutti gli animali, che intorno alle fronde e sotto l’ombra dell’amica troveranno un posto sicuro e confortevole in cui stare insieme e crescere le loro famiglie.
Allora che sia vero che la nonna non può scrivere e non può mandare regali, ma io che la conoscevo posso provare a immaginare cosa avrebbe fatto, cosa avrebbe detto e cosa mi avrebbe delegato di scrivere. Perché non dimentichiamoci che tutto questo sito-blog è nato da lei, che mi ha più volte detto: “so cosa vorrei scrivere ma non so come scriverlo”.
Ed eccomi qua, ghostwriter di un ghost che però è sempre tanto presente fra noi e che non voglio che scompaia dalla loro vita. Almeno fino a quando sarò viva io.

Ho un post-scriptum però da aggiungere. Una chicca per chi è arrivato a leggere fin qui: una piccola differenza tra copiare e usare un’idea di qualcun altro. Ecco, avevo letto tempo fa una di queste storielle che girano in rete, che non si sa mai se siano realmente accadute, inventate, prese da una storia vera o chi se ne importa, se sono funzionali. Parlava di un padre che per lavoro era fuori negli orari in cui i figli erano a casa e quindi non li incontrava mai. Per essere presente si era inventato un piccolo stratagemma: quando andava a dar loro il bacio della buona notte faceva un nodo alla coperta, così che i figli, al risveglio, potessero avere una prova tangibile del suo passaggio.
Nonna Milena ha lasciata loro una lunga letterina, che non hanno finito di ascoltare (lo sapevo, non mi importa: la richiederanno e comunque la conserveranno), dei regalini che non vedono l’ora di usare (un gioco di logica dei pirati per lui, un telaio per lavorare la lana per lei) e fra le tante righe ha scritto loro che nel salutarli aveva lasciato un nodo alla coperta, a dimostrazione che era passata.
Ecco, per cercare quel nodo hanno abbandonato felici e scattanti la tavola, le lettere e i regali e si sono emozionati…come dei bambini. E anche io, che ora quei nodi non vorrei scioglierli più e mi sono chiesta perché non ne avessi lasciato uno anche per me, visto che abbiamo dormito tutti e tre insieme e lo volevo anche io, un bacio dalla mia mamma.
Post-post-scriptum, direttamente dal sito Treccani: Sopravvivere, 2. letter. Continuare a vivere idealmente anche dopo la propria morte: s. nella memoria, nell’affetto, n