Io volevo solo sposarmi.

Volevo una festa, una grande festa per un grande amore. E invece già in municipio, in quel 2020 che sembra così lontano, mi sono dovuta accontentare solo di mio marito e mio figlio. Non che voglia sminuire la cosa, ma io volevo anche la famiglia vicino, quella che mi ha cresciuto. Desideravo condividere la mia felicità.

Lo so, quello “giusto” ci ho messo quarant’anni a trovarlo, e nel frattempo voi siete invecchiati. Ma non volevo accontentarmi, volevo che combaciassimo.

Poi ci si è messa anche di mezzo la pandemia: sono due anni che rimandiamo, perché io volevo solo sposarmi, papà, e volevo che fosse una festa. Avevamo scelto l’anno sbagliato, io e quello “giusto”, ma chi poteva saperlo che sarebbe stato così difficile, spostare la data?

Perché ce l’immaginavamo meglio d’estate, come la maggior parte delle coppie che hanno rimandato la cerimonia. Volevamo godercela al massimo, quella giornata.

Capisci, papà, che non è giusto, ora che finalmente mancano così pochi giorni, che tu non ci sia?

Perché ne avevamo già passate tante, per essere solo una festa. Piccolezze, a guardarle adesso, ma ci avevano messo i bastoni fra le ruote. In due anni tante cose sono cambiate e a furia di rimandare abbiamo perso pezzi per strada, fra invitati e fornitori. Il cantante, la parrucchiera, la truccatrice, il servizio decorazioni, addirittura l’indirizzo del negozio dell’abito. Quell’abito con cui sognavo mi avresti accompagnato all’altare. Invece non solo non mi ci accompagnerai, ma non potrò neanche raccontarti come è stato, o farti vedere le foto questa estate e ridere con te perché anche la tua figlia più piccola ce l’aveva fatta.

Però, però, però…come tratterrò le lacrime mentre mi vestiranno, mi truccheranno e mi pettineranno per essere bellissima? Come riuscirò a trovare la forza per sorridere e quella per non piangere?

Me lo avevi già detto, lo so: non te la sentivi di partire, che non stavi tanto bene, e mamma non voleva lasciarti solo. Ci separano così tanti km! Però, ecco, ci ero rimasta male, te lo devo confessare. Anche se avevo capito, io che a razionalizzare sono brava, ma meno brava sono a reagire ai tumulti emozionali.

E ora faccio le valige, e prendo quell’aereo al contrario rispetto a quello che avresti dovuto prendere tu. Solo che proprio non sono pronta.

Non è stato improvviso e non sono una bambina sprovveduta; credo di non esserlo stata mai. Però pare che tutto quello che chiedo non si avveri.

E sì, lo so, che dovrei ritenermi fortunata: ho un buon lavoro, un marito e un figlio stupendi, ho la salute, ma, …ecco, io volevo solo una festa. Queste cose belle andavano festeggiate.

Non sono pronta, papà, non sono proprio pronta a intraprendere questo lungo viaggio, in cui avrò tanto tempo per pensare e nessuna distrazione: non la guida, non mio figlio che mi chiama. E quando scenderò dall’ultimo bus dovrò percorrere quella strada che mi ha sempre portato a casa vostra, mentre la mia è sempre stata qualche Nazione più in là, dove mi avete fatto nascere e crescere ma alla quale non vi siete mai sentiti appartenere.

E non ti troverò in poltrona, né nell’orto né a letto, ma disteso in una bara. E a questa ultima visione, che si frappone in ordine cronologico all’ultima di te, ad agosto scorso, traballante ma ancora tu, proprio non sono preparata.

Come mi ha scritto un’amica, non ci sono parole che possano prepararmi o accompagnarmi in questa esperienza, se non che è la parte peggiore della vita, e che per fortuna non sarò sola. Resterò qualche giorno in più, per fare un po’ compagnia a mamma. Esserci è l’unica cosa che possiamo fare contemporaneamente per i vivi e per i morti.

Ma, papà, fra quindici giorni mi sposo, ed io volevo solo che fosse una festa…