Ieri non è arrivato solo Nikolaus, ma abbiamo anche messo i cappellini ai vari oggetti decorativi che abitano casa con noi. Quest’anno non volevo fare molto, visto che andremo in Italia da metà dicembre fino a dopo la Befana e quindi nessuna delle feste la passeremo qui.
Pensavo che albero, presepe e qualche decorazione qua e là mi bastasse. La verità è che non mi basta mai. Ed anche che poi le decorazioni degli anni passati mi mancano.
Penso anche che tornerò a fare il presepe blasfemo: sarebbe il primo anno tedesco senza.
E abbiamo appeso la ghirlanda con cui “dare il cinque” a Babbo Natale, una cosa che li faceva divertire anche quando Duetto era più piccolo di così.
Inoltre finalmente Spiderman ha ritrovato la sua ciotola, che essendo un po’ tagliente era stata messa via, ma ora sono abbastanza grandi da starci attenti…o da ignorarla perché, non essendo più pericolosa, perde anche tutto l’interesse.
Approfittando del cielo plumbeo (l’ho scritto davvero? Ne sto approfittando quasi fosse una cosa da cogliere al volo) e della totale assenza anche in lontananza di un raggio di sole, ho svuotato la calza di Nikolaus (anche questa non si può sentire: la calza legittima è solo quella della befana! Ch’amarezza!) nella ciotola di Spiderman, che ora indossa il cappellino di Babbo Natale anche se quest’anno stava per scappottarsela.
Semino nuovi ricordi, fotografie mentali che l’anno prossimo mi chiederanno (e mi richiederò io stessa) di riproporre. Semino mini-tradizioni familiari.
Oggi Bambina mi ha chiesto cosa fosse una tradizione. In realtà parlavamo di scambio di cioccolata per Nikolaus (riciclaggio sarebbe il termine più adatto) e mi chiedeva come mai quella che riceviamo la regaliamo a nostra volta a chi, a sua volta, ce ne regala altra. Mi faceva notare che sarebbe stato più corretto dire che noi di cioccolata ne abbiamo già tanta e non devono darcene ancora, ma le ho spiegato che è tradizione e che sarebbe maleducato rifiutare i regali, ma bisogna sempre ringraziare.
Poi mi ha raccontato una storia di un’amichetta dell’asilo che è ben cinque settimane che trasgredisce le ferree regole interne di non portare dolciumi e si fa mettere sempre i plätzchen (biscottini di Natale) nel panierino.
“Impossibile cinque settimane, bambina: i plätzchen si fanno nelle domeniche dell’avvento e siamo appena alla seconda settimana”.
“Negli altri giorni non si può?”
“Si può, ma non è tradizione?”
“È maleducazione farli negli altri giorni?”
“Non è maleducazione, solo che non è tradizione. Ma se vuoi li facciamo quando ci pare, noi”. Devo sempre cercare di mediare il suo DNA tedesco tendente all’obbedienza e col terrore del verboten (proibito) con un po’ di sano menefreghismo italico.
“Cos’è una tradizione?”, è diventato il nocciolo della questione.
“È un qualcosa che si fa in determinati periodi dell’anno. Per tradizione a Natale si fanno l’albero e il presepe, ad esempio. Per tradizione accendiamo le candele della corona dell’avvento le 4 domeniche prima di Natale, ecc.” (tanto gli elenchi annoiano anche lei, quando ha afferrato il concetto, quindi un ecc. ci stava bene).
Ecco, una tradizione è una coccola che ci prendiamo, che ci aiuta a scandire il tempo, ad addobbare la nostra vita, a ricordarci di non perdere di vista il mondo intorno. La tradizione accompagna sempre l’attesa di qualcosa di bello, credo.
E quindi, anche se fa fatica, ben venga cercare tutti i millemila cappellini di Babbo Natale da distribuire per la casa, consapevoli che quando si andrà a riporre tutto dopo l’Epifania, qualcosa verrà dimenticato e ci se ne accorgerà solo quando le scatole saranno state già chiuse e sistemate per l’anno prossimo: anche questa, in fondo in fondo, è (la cazzimma della) tradizione!