Pezzetti di puzzle, perché la vita è strana, ma a tratti stranamente meravigliosa.
Primo pezzettino: ogni tanto scendo a Firenze e, non so ancora perché dato che programmo un ritorno in Italia, porto pezzettini di me qui in Germania. A settembre è toccato al mio quaderno di appunti di italiano della terza liceo. È prezioso per i suoi contenuti, perché in classe non ero certo fra le più ligie ma due materie avevano la mia completa attenzione: matematica, perché così la capivo senza doverla studiare, e italiano, perché quello che spiegava lui non lo avrei trovato in nessun libro.
Il mio prof era pathos puro e anche se il polso doleva a fine lezione, quell’ora di spiegazione era una delle più belle e ricche. Vi appresi persino che Leopardi, sotto sotto (ma parecchino eh!), era un ottimista. (in SPM ricordo però solo il suo pessimismo cosmico).

Il professor Gullè mi ha insegnato a scrivere focalizzandomi sugli obiettivi. Oggi potrei dire che lui è stato il primo maestro di copywriting. Avevo un “seino” scarso all’inizio, che faceva male sia a me che a lui. Non facevo errori di grammatica o di sintassi, ma andavo fuori tema e non sapevo cosa fosse la sintesi (a leggere questo articolo non lo so neanche ora). Caricare, puntare, centrare. Non capivo. Ma la Diva, al banco dietro di me, collezionava 8 con tre paginette scarse di foglio protocollo (la colonna di sinistra. La destra, che ve lo dico a fare, rimaneva immacolata). Allora feci la cosa che da sempre mi è riuscita meglio: imparare da chi lo sa fare meglio di me. Ho preso un suo tema, l’ho letto con attenzione, gliel’ho restituito e ho caricato, puntato e centrato il mio primo 8+. Boia che soddisfazione!
Secondo pezzettino: ho fatto un corso/percorso con un’altra fiorentina espatriata al freddo e al geeheelo (nessuna di noi due vive in una grotta, però. Lei in Svezia, in Germania). Se scrivo oggi qui è anche per merito suo. Parlando vengo a scoprire che lei conosce la figlia del mio prof di italiano. Lui che ha trovato l’ottimismo in Leopardi ma non la forza di farlo suo. Il suo dolore lo ha portato via. Si può dire che abbia scelto, ma credo che nessuno scelga di soffrire così profondamente da. Spesso penso a lui. Mi ha formata. E quel quaderno di appunti è una delle cose più preziose che ho e che ho voluto portare con me.
Terzo pezzettino: questa estate, più per non lasciare papà da solo, mi sono guardata la fase finale degli europei. Illo Tempore ero una fanatica del calcio. Oggi, nel migliore dei casi, i giocatori che conoscevo sono diventati vecchi allenatori. Tranne quella scheggia impazzita di Chiesa. Che lo avessero ibernato (e dotato di quel tanto di talento in più)? Chiedo aiuto a Wikipendia e lo scopro figlio dell’ei fu giocatore della nazionale con Del Piero. Nel quaderno ho trovato un ritaglio di giornale dell’ibernato Chiesa e del giovane Del Pietro. Ho dovuto sorridere.

Lunga digressione: quel quaderno lo prestai al mio “amico a bestia”, ma visto che non me lo restituiva lo sottrassi di nascosto dal suo zaino. Il giorno prima, invece che sulle sudate carte, era stato in giro in motorino per le colline toscane. Pensando di averlo sperduto e timoroso dell’ira funesta della pelide ‘Stina (così mi ha sempre chiamato ed è il diminutivo che amo di più), vagò come un matto (e disperatissimo) ripercorrendo a ritroso le valli inondandole di lacrime. Si sfogò con alcuni compagni, che vennero a riferirmelo per mettere fine a quello strazio. Lo lasciai patire ancora un po’ e poi lo chiamai.
Il mio amico a bestia, poco dopo il liceo l’ho perso di vista. Dovevamo sposarci quando entrambi avessimo compiuto 30 anni, se fossimo stati tutti e due ancora single, per passare la vecchiaia (!) insieme a ridere. Ci si credeva davvero, anche se sapevamo che non sarebbe mai stato possibile: lui avrebbe compiuto 31 anni 11 giorni prima che io compissi i miei 30. Non avremmo mai avuto 30 anni insieme.
Il 18 maggio del 2006 gli mandai una rosa al vecchio indirizzo dei suoi. Spesi 50 euro con Interflora senza manco sapere se l’avrebbe mai ricevuta. Mi chiamò, ridemmo, non ci sentimmo più.
Lui sui social non esiste. Dileguossi, per citare Cenerentola. Me ne feci una ragione senza farmene davvero una. Dodici anni dopo la Diva e Damon mi hanno fatto il regalo di nozze più bello: lo hanno fatto arrivare al mio matrimonio. L’ho cazziato, perché non mi ha detto “prendi me, scegli me, ama me” (Gray’s Anatomy cit.), l’ho abbracciato forte e ora siamo di nuovo amici a bestia. Di solito è una cimice che avverte l’altro che ci stiamo pensando. Mi manda una sua foto e mi scrive “dimmi tutto ‘Stì”. E il tutto sono minuti e minuti di vocali in cui ci si lamenta di quanto siam prolissi. Oggi lo sono anche in questo post.