Comincia a far fresco. Non freddo, non ancora. Arriverà, arriva sempre. È che quando inizio a sentirmi stanco, allora capisco che sta per giungere l’inverno.

È stata una bella primavera: lei era felice, sempre allegra. Quante nocciole, bacche e germogli abbiamo raccolto insieme. Certo, ne abbiamo anche smarriti, così impegnati a nasconderli qua e là dai predatori da non ricordarci più dove fossero. Poco male, ne abbiamo riso insieme e sappiamo che non tutto è perduto: da quei semi nasceranno altre piante e, in parte, abbiamo fatto il nostro dovere per questo mondo. Che poi è quello che lasceremo in eredità ai nostri cuccioli. Sono nati in estate. È stata una bella estate!

Non mi dispiace neanche l’autunno, è molto colorato e poi cadono le noci. Siamo ghiotti di noci e nocciole; saranno le prime per i nostri piccoli. Abbiamo fatto tante provviste, ma non si sa mai cosa ci aspetta: quindi meglio lavorare, lavorare, lavorare, almeno finché le forze ce lo permettono. Quando però il sole fa sentire ancora la sua forza, un’allegria ci pervade ed è allora che giochiamo a rotolarci fra le foglie o a nasconderci sotto le nostre code. In questi giochi un po’ infantili ci dimentichiamo che la stagione dell’accoppiamento è finita e ci inebriamo un po’ di quell’euforia. Poi di nuovo al lavoro, che c’è da dare una sistematina al nido. La nostra tana è un cerchio perfetto, come la nostra vita insieme. Per questo ci tengo che sia anche calda e accogliente. Va data una rinforzatina qua e là, e questa è la stagione ideale: ci sono tanti ramoscelli in giro e le foglie si staccano facilmente.

Lei non è girellona come me. Ha la tana a cui badare e i cuccioli da nutrire. E ha un po’ la fissa di proteggere il territorio. Fa la guardia per non far avvicinare altre scoiattoline. Sarò strano, ma finché va così bene tra noi, non ho bisogno di nessun’altra. Però mi piace uscire e ascoltare le chiacchiere umane. Gli uomini non mi fanno paura e io non ne faccio loro. Anzi, spesso mi allungano qualcosa da sgranocchiare. Gli esemplari femmina si fanno crescere gli artigli, ma non li usano per scavare. Loro tirano fuori cibarie da un sacchetto di carta. Sono artigli belli, così colorati e brillanti. La mia lei è più semplice, ma una volta è venuta a vederli, incuriosita dai miei racconti. Però non si è voluta avvicinare. Io, per incoraggiarla, non mi sono limitato a prendere del cibo dalle loro mani ma mi sono arrampicato sul bordo della panchina. Gli umani si sono dapprima un po’ spaventati, poi hanno cominciato a farmi dei versi strani, come quelli che fanno ai loro cuccioli.

Ora li capisco meglio quando parlano. Non tutto, ma col tempo ho imparato tante cose. Incredibile quanto hanno da raccontarsi! A noi bastano gli sguardi, qualche arricciamento di naso e sventolamento di coda per comunicare.

Una volta l’umana ha detto una parola divertente. Lo so perché non ridevano prima che lei la pronunciasse, anzi sembravano alquanto seri. Ma poi lei ha alzato gli occhi al cielo, ha sorriso e ha detto: «baggianate!»

«Cosa hai detto?» le ha chiesto lui.

«Baggianate» ha risposto. Lui allora lo ha ripetuto con diverse intonazioni e ogni volta ridevano entrambi. Li ho ascoltati un po’ divertirsi e poi sono andato a riferirlo a lei. Sono corso nel buco ma non c’era. L’ho aspettata, poi l’ho guardata intensamente, per farle credere che avevo qualcosa di importante da confessarle. Ho scrollato gli occhi e poi ho squittito «baggianate». Abbiamo riso insieme. Ridere fa davvero tanto bene alla coppia.

Comincio ad essere stanco e ogni tanto un soffio di vento più fresco mi fa capire che l’inverno è davvero alle porte. Ma noi dobbiamo lasciarlo fuori dalla nostra. Ora deve entrare solo quel che ci serve, deve entrare calore. E cibo. Tanto cibo.

Sono uscito di nuovo e lo farò ogni volta che ne avrò le forze. Ma so che nel lungo periodo che ci aspetta dormirò sempre di più e lavorerò sempre meno, quindi non posso lasciarmi andare all’ozio.

C’erano di nuovo i due umani dell’altra volta, ma sembravano più tristi. È l’effetto delle giornate che si accorciano, del freddo e del buio che si sta facendo strada. Volevo dir loro che passa, passa sempre, ma non mi hanno neanche notato, impegnati com’erano a parlare senza ridere. Lei gli ha detto che era tempo di tagliare i rami secchi dalla sua vita. Ne ha preso uno, glielo ha messo davanti agli occhi e gli ha detto: «Vedi, non passa più alcuna linfa. È solo un pesante ingombro. Vanno tagliati, buttati via, ce lo insegna la natura.»

«E io sarei un tuo ramo secco, ora?» ha chiesto lui, prendendole il ramo dalle mani e gettandolo a terra.

A me sembrava tutto molto strano. Noi scoiattoli siamo abituati a lasciare il superfluo fuori, ma i rami secchi ci servono sempre. Quelli ce li portiamo dentro, per rinforzare il nido. È vero che gli alberi se ne alleggeriscono, ma qualcuno qualcosa ci dovrà pur fare. E forse, dico forse, gli umani sono come gli alberi: mentre decidono quali rami potare, cercano di risparmiare energie, di non disperderle, di concentrarle per ciò per cui vale la pena. Se è secco, è secco, non si rianima. Ma anche lì c’è stata vita. Ha germogliato, magari anche fiorito. Qualche uccellino ci si è appoggiato, qualche altro ci avrà fatto il nido.

Sarà successo anche agli umani qualcosa del genere. Forse, con quei rami secchi, potrebbero fare come noi: dormirci sopra. E utilizzarli per rafforzare le basi per un rifugio sicuro.

Mi sono avvicinato per prendere quel rametto abbandonato. Mi hanno guardato, sorpresi. Ho smosso la coda per ringraziarli, poi ho alzato gli occhi al cielo e ho provato a squittire «baggianate». Hanno riso, ma non so se mi hanno capito. Io me ne sono andato contento di portare alla mia lei un rametto nuovo per la tana. È un rametto di cui hanno parlato gli umani, gli spetta un posto d’onore in casa.

Mi sono girato per ringraziarli ancora. Mi hanno sorriso e si sono abbracciati. Forse avevano avuto solo un po’ di freddo.