Era una calda mattina di maggio. Non più calda dell’usuale, anche se ormai non si capiva più quale fosse il clima usualmente attribuito alle dodici mensilità del calendario.

Pia tendeva a considerare usuale quello che collegava all’adolescenza, nonostante avesse ormai raggiunto la consapevolezza che i ricordi rimasti sono quelli a cui ci siamo fermamente aggrappati, non necessariamente i più veri.

Era comunque un maggio caldo, confermato dal cardigan leggero che copriva una magliettina smanicata e dai sorrisi delle persone per strada.

Pia e Salvo stavano camminando per il centro cittadino: lo aveva convinto a “scendere a fare dei servizi”, benché non fosse riuscita a spiegargli bene quali nello specifico fossero questi non meglio specificati “servizi da sbrigare”. È che, questo era il credo di Pia, serviva solo un motivo-scusa per scendere, : il plurale sarebbe arrivato osservando, camminando, vivendo. Era quindi davvero necessario dichiarare il motivo zero e poi sentirlo lamentare che a missione compiuta non si tornava a casa?

Salvo non sempre capiva la necessità di accompagnarla, se non, aveva intuito, che così i sensi di colpa della moglie nel lasciare la casa in apparente disordine per presunte urgenze, venivano in parte leniti dal fatto che non era la sola a farlo. Così spesso acconsentiva, seppure limitandosi a fare da segugio e rassegnato all’idea che, senza un piano preciso e una lista ben compilata, lo spazio lasciato all’improvvisazione era ben poco arginabile. Ma non lo faceva neanche più notare: nei lunghi matrimoni ci si abitua alle stranezze dell’altro fino a diventarne complici, e ci si bea di trarne fuori il meglio: un po’ di movimento, aria fresca, possibili incontri.

“Ma secondo te cosa vuol dire Insegna anche a me la libertà delle rondini?”.

“Come?”, chiese Salvo, che aveva capito che Pia si era fermata di nuovo perché la sua voce si era andata allontanandosi man mano che la domanda si faceva strada nell’aria. La raggiunse che aveva gli occhi incollati a una locandina di una mostra fotografica: un nastro srotolato tipo stelle filanti portava la scritta in verticale

Insegna

Anche a me

La libertà

Delle rondini

“Forse per capirlo dobbiamo soffermarci su ogni riga” continuò Pia.

“Cara, non ci sono rondini in città: sarà difficile osservarle per avere una risposta. Vuoi che guardo su internet?”

“No, Sa’, proviamo ad arrivarci da soli, come quando non c’era internet. In fondo le rondini esistono da sempre, ne abbiamo sempre viste tante a “Villa Paradiso” –  così chiamavano la loro casetta in campagna  – Ti ricordi che un anno non riuscivamo a dormire per il loro canticchiare notturno?”

“Garrire, cara, le rondini garriscono. È una delle poche cose che so, …oltre che una sola non fa primavera” aggiunse sorridendo da solo alla sua battuta. Pia invece ignorò l’ironia del marito, alla quale era talmente abituata da farci sempre meno caso.

“Ecco, per l’appunto a partire da questo vecchio detto, mi chiedo, che libertà hanno? Più di altri uccelli o animali intendo, tanto da dedicarne loro un’intera mostra?”.

“Una mostra non fa primavera” rise Salvo, ma questa volta non era solo una battutaccia, voleva intendere proprio quello che Pia capì: non è che perché vi abbiano fatto una mostra che sia scientificamente provato che le rondini abbiano una forma di libertà da cui noi dovremmo prendere esempio.

“Mi pare di ricordare, come reminiscenze passate, che tornino sempre al loro nido” proseguì Pia con i suoi ragionamenti, “anche se non potrei riconoscere se quelle che occupavano i nidi da noi fossero sempre le stesse. Non dovevamo farli togliere, mannaggia.”

“Vabbè, ma non è che potevi metter loro un anellino alla zampa. E comunque

sono animali migratori. E infatti il loro ritorno è annuncio di primavera”.

“Ok, Salvo, siamo alla fiera delle ovvietà. Però, mi chiedo, intersecando i nostri ricordi…” e qui Pia fece una pausa, come se volesse proprio metterli insieme per bene, aristotelicamente, e non far confusione fra tesi, antitesi e sintesi. Salvo la osservò e le sorrise: quella luce nei suoi occhi precedeva una nuova domanda. Una nuova sfida dialettica, l’ennesima che trasformava le passeggiate a far servizi in momenti di condivisione non scontata: eccolo lì, il motivo per cui lo convinceva spesso. Eppure, ad ogni nuova proposta, lo dimenticava.

“…quale libertà c’è – continuò lei – nell’essere costretti ad andare via per l’inverno e tornare indietro sempre, e sempre nel solito posto, mentre con quelle ali e la loro capacità costruttiva potrebbero costruire nidi ovunque, viaggiare all’infinito?”.

Salvo le sorrise: “e sono persino monogame e fedeli, se non ricordo male: proprio mai una gioia neanche loro, eh!” disse ridendo, anche perché quel mai una gioia gli era uscito proprio male”.

“Ma ti metti a parlare come Rosa e Giulia? Ti senti giovane, eh, Sa’? Andiamo, che alla libertà-non libertà delle rondini ci pensiamo un’altra volta”.

Del proseguo della passeggiata Salvo ricordava ben poco. Pensò e ripensò alla libertà delle rondini e ai dubbi o desideri che potevano aver risvegliato in Pia. Era lei, tra i due, la più vitale, se avesse voluto usare un aggettivo inflazionato. Era lei che amava scoprire posti nuovi, che si immergeva nei documentari di paesi lontani, che sognava tra le pagine di un libro o fantasticava davanti a un film. Lo era sempre stata, nonostante la vita. Che aveva regalato loro due figlie, una famiglia numerosa con cui riunirsi per festività e compleanni, un lavoro a tempo pieno per entrambi e le gioie del focolare domestico, dal quale si allontanavano “per i servizi”, come scusanti per passeggiate in centro, o per recarsi in quella casa al mare, frutto di tanti sacrifici e di tanto amore. Una vita di doveri in cui avevano trovato spazio anche i piaceri. Una vita con le difficoltà quotidiane, legate al crescere e all’invecchiare, alle fasi della vita delle bambine, con i loro diversi modi di vivere la pubertà e la maturità, di prendere in mano il loro futuro, di staccarsi e di ritornare. Una vita di attese, forse, più subordinata ai bisogni dei figli, che poco si distaccava da quell’idea di normalità che è la base per ogni piano di evasione. Ma di scappare, loro, non ne avevano mai parlato. Stavano bene così, almeno credeva prima di incappare nelle rondini.

E allora decise di accenderlo quel computer, anche se ormai si era fatto tardi e se Pia forse già dormiva.

La mattina dopo Pia si alzò prima del marito, trovando, come al solito, la tavola già preparata per accoglierli per la colazione: piattini con le tazzine rivolte verso il basso, cucchiaini, zuccheriera e la caffettiera sul fornello in attesa che qualcuno accendesse la fiamma sotto. Salvo, un abitudinario che metteva ordine nella sua vita da quasi quarant’anni anni, ormai.

I suoi occhi andarono alla ricerca del suo piattino, accanto al quale, quel giorno, come puntualmente ogni quindici del mese, c’era un bacio Perugina a ricordo del loro matrimonio, un quindici del mese di giugno.

Sorrise e poi guardò meglio. Ben piegato, al posto del tovagliolo, c’era un foglio di carta sotto il cucchiaino. Un’emozione adolescenziale la colpì, e quel fremito che partiva dallo stomaco finì il suo percorso sul viso, su cui disegnò un sorriso. “Oh, Salvo!”, pensò.

Cercando di non far rumore, per evitare di richiamare la sua attenzione – non voleva leggerlo davanti a lui, e non sapeva spiegarsi il perché. Disabitudine? – lo sfilzò da sotto il cucchiaino e lo dispiegò . All’interno trovò qualche riga scritta a mano, dal titolo

Insegna anche a me la libertà delle rondini

Cara, insegna anche a me la libertà delle rondini, perché io ora so cos’è e credo tu ne sia una portatrice sana.

Insegnami l’arte di costruire un nido in otto giorni (che nella vita media di una rondine coincidono al mutuo che abbiamo estinto insieme), instancabilmente, e a mantenerlo sempre accogliente, e caldo, proprio come questa casa.

Insegnami a volare in alto per assaporare la vita, ma a planare rapido quando l’aria si addensa.

Insegnami a non fermarmi, mai, se non di notte, ma per cantare. Insegnami i diversi gorgoglii delle tue emozioni: i suoni dell’amore, dell’amicizia, della maternità, della pazienza, dell’esuberanza, delle curiosità e potrei stare qui ad elencartene ancora tanti altri.

Insegnami come si fa a partire, quando la vita lo decide, a stravolgere le abitudini, a dormire di giorno e volare di notte, per arrivare sani e salvi al caldo; ma anche a rimettersi sulla via del ritorno, tanto forte è il richiamo di casa, sempre.

Insegnami come hai fatto ad insegnare a Rosa e Giulia ad allontanarsi da noi, per costruire la loro indipendenza, ma restando a far parte del villaggio che porta il nostro cognome e le nostre tradizioni, i nostri odori e, se vuoi, le nostre stranezze.

Insegnami la tua idea di socialità, che senza quella sarei molto più solo. E se finora avevo solo percepito la stanchezza dei tanti “obblighi” sociali, quella che a te però non abbatte mai, mi chiedo oggi di cosa altro sarebbero altrimenti fatte le nostre giornate, se non di persone?

Non hai da insegnarmi la monogamia, che, anche se oggi ci ho scherzato su, di gioie me ne ha date tante, e rimpianti nessuno. Insegnala però a loro, che le nostre figlie vivono in un’altra epoca e hanno fame, e hanno sete, e per questo volano più veloci e più in circolo di te, che avevi la bussola sempre attiva. Ma sono sicuro, perché lo sei tu, che la risposta la darà il tempo: che noi abbiamo seminato bene, ma loro devono perdersi per ritrovarsi. E comunque, sapranno sempre dove poter trovare il nido caldo e un pasto pronto: la tana della serenità.

E poi grazie, cara, perché con questa scusa delle rondini, mi hai fatto ricordare uno dei nostri primi appuntamenti, in cui io ero già perdutamente innamorato di te, mentre tu sfuggivi. Eravamo su una panchina, stanchi dopo una gita fuori porta. Avevamo camminato e visto tanto, e ci sedemmo lì a rifocillarci e godere della vicinanza delle nostre spalle. Tentennai a cingerti col mio braccio, ma tu non esitasti e ti facesti ancora più vicina. Proprio in quel momento – era maggio anche allora, ora lo ricordo – arrivò una rondine col suo volo basso e veloce a disegnare un otto di fronte a noi. Un’artista del destino, direi ora. Perché quell’otto, sperai io, era forse un infinito, e io oggi mi trovo qui, con te, dopo una vita insieme, a disegnare sogni per altrettanti anni a venire, se Dio ce lo permetterà, ed anche per dopo. Perché la rondine, ora lo so, è il simbolo del viaggio, della libertà e dell’eterno ritorno a casa. È il viaggio dell’anima, che dopo aver compiuto il suo percorso torna sempre all’origine arricchita di esperienza.

Buon anniversario, anima mia. Insegnala a questo vecchietto, ancora, la libertà delle rondini.

Con amore, tuo, Salvo

Pia ripose il bigliettino sul tavolo e con un sorriso nuovo – o un vecchio riscoperto – accese il fuoco sotto la caffettiera. Alzò il coperchio per vederlo uscire e quando il gorgoglio precedette il diffondersi dell’aroma inalò forte e sussurrò “casa”. Poi lo versò in due tazzine, girò lo zucchero in quello per Salvo, lasciò il suo amaro, depose le tazzine su un vassoio e andò a svegliare il marito canticchiando. Salvo sorrise per la meraviglia, osservandola mentre lei posava il vassoio sul comodino e si chinava per dargli il bacio del buongiorno.

“Un piccolo cambiamento nella routine, per concederci dei brevi viaggi di fantasia anche restando nel nostro nido” gli sussurrò.

Salvo sorrise: “Invitiamo Rosa e Giulia per il nostro mesiversario? Non diranno di no a una teglia di pasticcini e un buon caffè”.

Pia pensò sempre più spesso alle rondini, facendo caso se avessero rifatto il nido a Villa Paradiso, che villa proprio non era, ma a loro lo pareva, così immersa nella natura e così poco distante dal mare da sentirne talvolta l’odore. Li numerava, per vedere se questi aumentassero nel corso degli anni, a significare che il villaggio cresceva e che i figli avevano trovato il loro posto accanto ai vecchi genitori. Le osservava posarsi sui fili della luce disegnando le note di un pentagramma, e le fotografava.

Più difficile era farlo quando erano in movimento, così rapide nel volo, soprattutto quando questo preannunciava l’arrivo della pioggia. Ma più di ogni altra cosa, nelle calde notti estive, tendeva l’orecchio a catturare i loro canti: che intonassero canzoni d’amore o di battaglia poco le importava: le rondini cantavano anche di notte, nutrivano i loro piccoli, tenevano il nido in ordine, ed erano sempre in movimento. Viaggiavano tanto, è vero. Ma poi tornavano. E questa, pensò, era la vera libertà: fare ciò che l’amore chiama a fare.