A cosa serve una scatola dei ricordi

Una scatola dei ricordi serve, anche ad occhio disse il cieco, a conservare i ricordi.

Io ne ho tante, sparpagliate per case e nazioni.

Oggi, cercando un asinello da dare a Bambina per far pari con quello che avevo dato a Bambino (l’asinello è il mio animale preferito), ne ho ritrovata una, con all’interno un insieme di “prendipolvere” che, nei vari traslochi, avevo accatastato lì dentro senza più riporre in una vetrinetta. Pupazzetti collezionati in quella che ormai considero quasi la mia vita precedente : personaggi dei Peanuts, robot giapponesi, sorpresine dell’ovino kinder e piccoli ricordi accumulati.

Ogni tanto subisco ondate di decluttering: sferzate di senso pratico mi invitano a liberarmi del superfluo. Sapendo che, come la sindrome pre mestruale, in tre giorni passa, carpisco il diem e butto, senza voltarmi indietro, che un secondo passaggio li salverebbe dall’inferno per metterli nell’attesa del purgatorio. Ma gli oggetti in questa scatola si sono salvati e hanno trovato il loro posto, nel calderone dei ricordi.

Eppure a volte è così difficile (ma spesso necessario) liberarsi dei ricordi.

È una questione di spazio, nelle case e nelle vite delle persone. Quello che si è accumulato negli anni e che non ha un uso specifico ma solo un valore sentimentale, spesso deve lasciare il posto a oggetti cosiddetti utili.

Io ho deciso di alleggerirmi anni fa, quando pensavo che non sarei più diventata madre e che quindi alcuni vecchi giochi non aveva più senso che aspettassero di essere tramandati. Stanca di stipare, ho approfittato di una giornata in cui avevo voglia di voltare pagina, per buttare un sacco di cose.

E ora, che invece mamma lo sono, lo faccio comunque sempre più spesso, perché è il turno di Duetto: a loro tocca accumulare e a me eliminare.

Però cerco di farlo con loro, per dar maggior significato alla seconda vita cui destino i sopravvissuti: ciò che può diventare gioco o piccolo tesoro, se lo scelgono e decidono se prendersene cura o goderselo. Cercando di rassicurarli sul fatto che non succede niente se qualcosa viene persa o rovinata, l’ho insegnato anche a me. Anche questa è leggerezza: ho imparato grazie a loro a lasciar andare, ad usare invece che conservare.

Aprire una scatola dei ricordi è un po’ come immergersi nel pensatoio di Albus Silente, quel calderone in cui poter ripercorrere momenti vissuti osservandoli da altri punti di vista.

Per questo ogni tanto mi soffermo a raccontare a Duetto la storia di quegli oggetti. Narro al mio piccolo pubblico attento la vita prima di loro, quali fossero le mie passioni e passatempi, quali persone abbiano attraversato le mie stesse strade, quali emozioni abbiano accompagnato la mia, di crescita.

Poi glieli consegno ufficialmente, raccomandandomi di tenerne di conto, ma non per questo di esserne schiavi.

Anche gli oggetti hanno le loro delicatezze. Non proprio tutti possono diventare semplici giocattoli: ce ne sono alcuni fragili, per fattura o per i tasti che toccano. Quelli rimangono nella scatola, attendendo la prossima riapertura e la prossima cernita. Superano l’ennesima selezione, perché ne abbiamo ancora bisogno. È necessario ascoltare sempre i nostri bisogni. Ci sono forse ancora domande senza risposta o senza quella giusta. Alcuni oggetti sospendono le nostre emozioni ed è giusto attendere.

Gli svedesi ad esempio definiscono döstädning, dove significa morte e städning pulizia, l’eliminazione del superfluo. È il favore che i genitori fanno ai figli prima di morire, senza necessariamente aspettare di essere malati. Cercano di non lasciar loro un oneroso lavoro di selezione, che non sarebbero in grado di fare, sopraffatti dal turbine di emozioni che un lutto porta con sé.

Lo considero un atto d’amore estremo, quel liberarsi di sé per non lasciare il fardello agli altri.

Ecco, io anche il raccontarsi lo vedo come una sorta di döstädning, un atto d’amore estremo, un favore che si fa e che ci facciamo, facendo ordine e pulizia nei ricordi:

  • Un regalo a sé stessi, ripercorrendo tappe della propria vita, riorganizzandole in episodi e racconti, arricchiti da considerazioni personali e magari qualche foto
  • Un grandissimo regalo per i propri figli e i nipoti, che sapranno dove ritrovare le proprie radici ogni volta che ne avranno nostalgia e bisogno

Una raccolta di racconti può diventare una scatola dei ricordi a forma di libro più personale, intima e preziosa di una normale scatola di “prendipolvere” di cui altrimenti sarebbe difficile tramandare il significato.

Di alcuni “ninnoli” ritrovati in quella scatola vi narrerò. Ce n’è uno in particolare a cui sono talmente legata che fa un male cane, ogni volta che lo vedo. E fa un bene cane, ripensare a quel momento della mia vita. Perché lo sapevo, proprio mentre lo vivevo, che sarebbe stato indimenticabile, nella sua semplicità.

Ed anche per mostrarvi come si può iniziare a raccontarsi anche a partire da un oggetto, come ho chiamato una sezione del mio blog.