Quando parliamo di noi ci sentiamo meglio perché raccontarsi è liberatorio. Questo non significa che ogni volta che apriamo bocca è come se fossimo in una seduta psichiatrica. È solo che, quando raccontiamo di noi, dedichiamo del tempo alla nostra storia, a quello che ci ha portato ad essere le persone che siamo e quello che abbiamo.

Non è un’egoistica appropriazione di tempo indebita. Non lo stiamo sottraendo al lavoro o alla famiglia. Con il racconto riattraversiamo tappe della nostra esistenza. Rielaboriamo i ricordi con lo stesso sentimento di un ritorno nei luoghi della nostra infanzia. Ci facciamo del bene. E farsi del bene non è mai una perdita di tempo.

La scelta della sequenza degli avvenimenti può essere casuale o seguire un ordine predeterminato, o può scaturire da un “prezioso accidente: riavere delle vecchie foto tra le mani, rientrare in certi palazzi, tornare in alcune città, rileggere vecchie lettere o diari, entrare a casa dei nonni, ritrovare vecchi documenti, incontrare persone.

Libri, canzoni, film o serie tv, ci fanno immedesimare in storie e personaggi che possono avere delle affinità con noi, ma non siamo noi. La nostra storia, il nostro passato, è tutto nostro, unico e speciale. E anche se non siamo personaggi famosi, siamo famosi e importanti per qualcuno. In primis per noi stessi.

Ripercorrere momenti attraverso il racconto, riagganciarsi a collegamenti col passato, ci permette di tracciare una linea in tutti quei puntini che, alla fine, come nella Settimana Enigmistica, compongono il disegno di “che cosa apparirà?.

Raccontarsi, insomma, ci aiuta a non perderci nell’abisso del tempo che passa. È un modo per prenderci cura di noi. Avere qualcuno che ci ascolta e mette in ordine i ricordi, è un bel regalo da fare a sé stessi.