Oggi è Sant’Ambrogio, patrono di Milano. Quando lavoravo a Milano ritenevo che chi lo avesse scelto come patrono della città dovesse essere un gran genio di meridionale emigrato, per poter sempre attaccare la festa all’8 dicembre e scroccare qualche giorno di vacanza per scendere dai propri cari.
Io di Milano e della mia vita a Como ho tanti bellissimi ricordi. Una città che amo e una in cui ho amato vivere nonostante il pendolarismo, che era stancante ma anche tanto arricchente.
Del periodo natalizio a Milano ricordo l’albero Swarovski alla galleria, così immenso e lucente, e una fiera in cui capitammo per caso, io, Amiami e Ex, che era l’ex di tutte e di nessuna, ma una gioia per le affini anime ”serendipitylle” come ci sentivamo allora.
Non è un aggettivo che si può trovare su qualche vocabolario, perché lo coniammo noi e la Crusca non ci ha mai preso in considerazione.
Credevamo nella magia della Serendipity, il tempo insieme lo trascorrevamo a Serendipitopoli e il permesso di soggiorno poteva non venire rinnovato, a meno che non si andasse in giro a toccare il culo alle Megane.
In una delle nostre avventure serendipitylle ci trovammo a ballare con un gruppo di danze popolari sotto il castello, acquistammo Serendipistyllo, un fiore finto che cantava sorridente, conoscemmo Michele (mi pare si chiamasse così) che guidava la Croce Verde e era serendipityllo a suo modo, festeggiamo la vittoria del Camerum a non so quale fase del Mondiale del 2006, e, appunto, in questa fiera natalizia ci dividemmo col compito di ritrovarci un’ora dopo con un regalo da pochimila euro da scambiarci reciprocamente. Non ricordo cosa fossero, a parte che erano tre ciofeche e nessuno invidiò nessuno.
Oggi scopro che Sant’Ambrogio è il protettore delle api, simbolo di buon lavoro, buona organizzazione e combattività, e quelle per cui c’è così tanta attenzione negli ultimi anni. Quelle per sostenere le quali un’artigiana molto brava e di cuore mi ha mandato, insieme al mio ordine delle volpine, dei semini da piantare; quelle che sono sul mio anello con corallo ricevuto per aver fatto da testimone al matrimonio più importante; quelle che hanno creato il miele che ho regalato l’anno scorso a Natale sia all’Opa (il nonno tedesco) che alle mie amicissime, e che hanno gustato insieme, come insieme siamo da talmente tanti anni che potrei scrivere “da sempre”.
Scopro ancora, la magia di Internet, che Ambrogio proprio vescovo non ci voleva diventare ma s’era messo in mezzo a far da paciere fra le fazioni ariana e quella ortodossa e lo fece così bene che la folla lo acclamò tale. Ma lui aveva altro (e altre!) per la testa e quindi tentò la fuga nella notte verso Pavia…a cavallo della mula Betta. Mò ditemi voi se non deve diventare il mio eroe! Aveva parlato a sproposito (capita anche a me) e s’era messo nei casini (capita spessissimo anche a me).
Insomma, sul suo velocipide che fa? Si perde in continuazione (e qui mi ricorda me all’ennesima impotenza) P(erl)avia (questa battuta la dovevo fare) e dopo corsi e ricorsi si ritrova nel solito posto, a Porta Romana, dove viene riconosciuto e riportato a Milano. E gli fanno pure un convento per ricordare il suo tentativo di fuga fallito.
Ma il mio eroe, a cui voglio già un gran bene, non si dà per vinto e decide di fuggire di nuovo, ma non più verso l’ignoto, bensì verso Magenta, che pare si ricordasse come arrivarci. E, sentendosi furbo, fa ferrare la Betta al contrario per depistare chi avesse tentato di seguire le loro tracce.
Sì, Ambrogio era anche lui serendipityllo, e forse per questo che l’hanno fatto vescovo e santo!
Insomma, la Betta, strano a dirsi, non doveva camminare proprio comoda comoda con le scarpe al contrario e un padrone che manco sapeva bene dove condurla. Fatto sta che a Corbetta s’impunta che non vuole più andare avanti. Corbetta non si chiamava ancora Corbetta, ma ci pensa l’Ambrogio, che comincia a gridare “Corr Betta! Corr Betta” ma invece che la mula a correre iniziano i suoi fan, che sentono le grida e lo riportano a Milano.
Viva Sant’Ambrogio, allora, patrono dei ponti e delle opportunità, dei tentativi di fuga dalle proprie responsabilità ma anche dell’accettazione del proprio destino. E di una città multiculturale che avrà sempre un posto speciale nel mio cuore, non solo ma anche a Natale.