Seminiamo bellezza ora, senza aspettare il giorno giusto, che poi quale potrebbe essere?

È forse proprio seminando bellezza che distoglieremo la nostra attenzione dalle preoccupazioni e prepariamo il terreno affinché vi crescano piante fruttuose, e non solo gramigne.

Mentre insegniamo ai nostri figli valori nei quali noi stessi stentiamo sempre più a credere – altruismo, fiducia nel prossimo, benevolenza disinteressata – ci ricordiamo perché fossero per noi importanti prima della disillusione.

Che poi sono gli stessi valori su cui fondiamo i nostri rapporti più sinceri, come la famiglia e l’amicizia, ma che diamo per scontati.

Questo ho pensato quando, sabato scorso, ho coinvolto Duetto (e il loro Bollerwagen, il loro carretto a mano) nell’iniziativa del paesino in cui viviamo di aiuto alla popolazione rumena per le feste natalizie, affinché anche i bambini più sfortunati avessero qualcosa da spacchettare a Natale.

Avrei potuto farlo da sola: si trattava di prendere giocattoli, vestiti e giubbotti che non usavano più e consegnarli al punto di ritiro. C’era scritto che sarebbe stato carino già incartarli, annotando però un’indicazione di genere e età, per facilitare la distribuzione.

Però, se lo avessi fatto da sola, avrei solo nutrito il mio scetticismo condendolo di opportunismo: ne avrei approfittato, cioè, per liberare la cantina e mi sarei presa la briga degli incartamenti non per galanteria ma per dare maggior lavoro ai possibili malintenzionati, che avrebbero dovuto scartare tutti i pacchi per decidere quali tenere per sé e quali portare a destinazione.

Avrei nutrito la mia gramigna e nessuna nuova pianta avrebbe ornato il mio giardino interiore.

Così, per ricordarmi chi sono, e anche la persona migliore a cui dovrei tendere ogni giorno, ho chiesto aiuto a Duetto.

Ho spiegato l’intento dell’iniziativa, ho dovuto affrontare il tema della disparità sociale, della nostra fortuna rispetto a chi ne ha molta meno (e non è facile, visto il mondo ovattato in cui crescono e senza dimenticare che hanno solo cinque anni) ma senza farli scendere nel pietismo.

È capitato che Bambina si sia riferita ai bambini rumeni come “poverini”, usando un’espressione sicuramente sentita da me nel linguaggio parlato. Le ho detto che sono più poveri e meno fortunati di noi, ma non poverini, perché magari attingono ad altre fonti della felicità.

Bambina e Bambino hanno cercato giochi, li hanno riutilizzati per vedere se ci trovavano ancora qualche forma di divertimento dimenticato, poi mi hanno aiutato a impacchettarli e a etichettarli, scegliendo con cura dal loro “cassetto delle schifezze” cioccolatini o caramelle che avevano avuto in regalo o collezionato ad Halloween. Sono stati generosi, privandosi anche di cose di cui sono golosi, “perché tanto, mamma, noi ne abbiamo già tante”.

Il papà aveva preparato fuori il Bollerwagen e loro facevano a gara a riempirlo.

Poi ci siamo incamminati verso il punto di raccolta e la passeggiata insieme trainando il carretto è stato un altro momento di divertimento e condivisione. Arrivati lì hanno aiutato i volontari a caricare la macchina.

Al ritorno erano galvanizzati, ma anche stanchi, e visto che la strada è in salita li ho caricati a turno sul Bollerwagen e li ho trainati. Perché se lo sono meritati.

Sono ancora scettica su queste iniziative, ma non sul bene che fanno a chi vi partecipa. Crederci, credere sempre che siamo tasselli anche noi e che possiamo, nel nostro grande piccolo, far qualcosa per migliorare questo mondo. O almeno il nostro.